Dow Jones Financial Information Services: metalli non ferrosi: rischio rally su piano di stimolo FED. La conferma da parte della Federal Reserve al piano di stimolo monetario da 600 miliardi di dollari ha alimentato le aspettative di una svalutazione del dollaro Usa nei confronti delle altre divise internazionali spingendo al rialzo il prezzo dei metalli non ferrosi quotati al LME.
Tra i metalli più sensibili al fenomeno è il rame il cui contratto a 3 mesi sembra oramai prossimo a toccare i 9000 dollari la tonnellata.
Ma anche gli altri metalli non sono certamente indenni dall’ondata di rialzi con l’alluminio che rimane inchiodato oltre i 2400 dollari la tonnellata e il nichel prossimo a toccare i 25 mila dollari.
Per non parlare dello zinco che, malgrado la oversupply strutturale, punta a 2600 dollari la tonnellata. Sicuramente il fatto che a livello fondamentale il mercato del rame presenti segnali di restrizione dell’offerta nei confronti della domanda contribuisce a incidere sulla performance dei prezzi.
Ma se però si considera come il rally abbia trasciato al rialzo anche i metalli caratterizzati da una sovraofferta come lo zinco allora occorre fare un ragionamento diverso.
Interpellati da AcciaioReport gli operatori finanziari legano il rally dei metalli a cui si è assistito in questi ultimi mesi alle attese di svalutazione del dollaro Usa e quindi più a fattori puramente speculativi che fondamentali. “Negli ultimi mesi è cambiata la percezione che gli operatori nutrivano nei confronti dei metalli di base che per certi versi sono divenuti un vero e proprio “bene rifugio” a protezione di una prevista futura inflazione causata a sua volta dalla impressionante mole di liquidità che giunge dagli Usa – spiega un broker londinese – se a questo aggiungiamo il fatto che i metalli sono una commodity intrinsecamente legata anche al ciclo congiunturale ben si spiega il motivi di questi balzi”.
Tuttavia, avvertono gli operatori, più i metalli si discosteranno dai fondamentali (il costo di produzione del rame per esempio è attualmente fissato intorno ai 3600 dollari la tonnellata) più aumentano le chance di assistere a una pesante correzione nel mese di dicembre. Dice sempre il broker “in questi ultimi mesi le spinte al rialzo sono giunte maggiormente dai piccoli trader privati che non dalle grandi banche d’affari che sono state alla finestra.
La domanda che ci poniamo ora è: “che cosa faranno i fondi adesso?
Aspetteranno che il mercato corregga per poi entrare, oppure entreranno subito sul mercato spingendo il prezzo del rame fino a 9000 dollari la tonnellata? Certo, nel caso in cui la correzione non si dovesse verificare immediatamente allora le probabilità di assistere a un calo molto pesante diventano concrete”.
Secondo gli operatori finanziari un’altra incognita è rappresentata da quello che faranno sul mercato dei cambi le banche asiatiche, Giappone e Cina in testa. Non è un mistero infatti che il mantenimento negli Usa di una politica monetaria a tasso zero e dunque il dollaro debole spingano i grandi fondi finanziari di investimento a riversare enormi somme di denaro al di fuori dagli Usa dove i rendimenti sono migliori.
Qualora non si ponga un freno a tale attività però il rischio di formazione di una bolla speculativa non solo sulle commodity anche anche sui mercati finanziaria dei paesi emergenti diventa molto concreto.
Ecco spiegato il motivo per cui nei giorni immediatamente successivi all’annuncio da parte della Fed di proseguire con il piano di immissione di liquidità i rappresentati dei governi di Cina e Giappone hanno espresso il loro disappunto con inusuale nettezza.
Non è escluso dunque che nell’arco delle prossime settimane le banche centrali di Cina, Giappone possano coordinarsi per spingere al rialzo il dollaro Usa. Al rischio bolla non sfugge neppure il Brasile.
In una nota inviata alla clientela PIMCO il maggiore gestore mondiale di obbligazioni con un’esposizione di oltre mille miliardi di dollari Usa ha avvertito come il Brasile sia tra i paesi che potrebbero accusare “danni collaterali” causati dall’allentamento quantitativo da parte della banca centrale americana.
“Al fine di evitare la formazione di una bolla il Brasile ha tre alternative nessune delle quali da augurarsi: “assistere impotenti al rialzo della valuta locale, frenare l’afflusso di investimenti nel paese oppure alzare le tasse”.
La tesi della pesante correzione a dicembre è sposata dalla casa di brokeraggio Sucden secondo cui alla fine i temuti hedge funds entreranno nel mercato dei metalli non ferrosi spingendo le quotazioni al rialzo.
“nel mese di dicembre però i fondi dovranno chiudere le posizioni per portare a bilancio i guadagni e questo potrebbe dare il via a una marcata correzione”, spiegano gli esperti londinesi. Nel frattempo però qualche segnale di avvertimento già circola.
In una nota recente la banca d’affari australiana Macquarie ha messo in guardia i propri clienti dalla recente performance dello zinco i cui prezzi continuano a salire malgrado l’aumento delle scorte LME al massimo degli ultimi 6 anni.