Wellbeing mismatch in azienda. Oggi in Italia più della metà (64%) delle aziende offre servizi a supporto del benessere psico-fisico e relazionale dei propri collaboratori, eppure meno di un lavoratore su dieci (9%) sta davvero bene sul posto di lavoro e solo uno su quattro ritiene che la propria azienda si occupi concretamente del suo benessere.
Le imprese italiane stanno investendo in corporate wellbeing, con una spesa media di 1850 euro per dipendente, ma le iniziative si rivelano spesso inefficaci anche perché solo un decimo del budget è allocato a benefit che assolvono ai bisogni di benessere, conciliazione vita lavorativa-vita privata e sviluppo professionale.
E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano in collaborazione con JOINTLY – prima B Corp italiana nel corporate wellbeing – dal titolo “Il Corporate Wellbeing mismatch: come rispondere in maniera efficace alle aspettative di benessere dei lavoratori in azienda”, che sottolinea l’urgenza per le aziende di adottare un approccio più strategico e mirato al benessere dei lavoratori, superando pratiche tradizionali e rispondendo in modo efficace alle nuove aspettative del mercato del lavoro.
I DIPENDENTI CHIEDONO BENESSERE, LE AZIENDE DANNO RISPOSTE INSODDISFACENTI
Oggi star bene anche al lavoro è una priorità e solo nell’ultimo anno 1 lavoratore su 3 ha cambiato o ha intenzione di cambiare proprio a causa della mancanza di benessere, con un picco tra i GenZers (39%). Le aziende sono ormai consapevoli dell’importanza di far star bene i propri collaboratori per non perderli, e stanno cercando soluzioni. Ma lo studio – sulla base della metodologia sviluppata dall’Osservatorio HR Innovation Practice – mostra come investano ancora poco nelle iniziative legate principalmente al benessere e all’engagement (benessere fisico, psicologico e relazionale, sviluppo e work-life balance), prediligendo invece i benefit di welfare tradizionale. Si limitano cioè alle misure più semplici da erogare, e apparentemente più efficaci e immediate.
In base ai dati raccolti da JOINTLY l’investimento medio annuale sulle iniziative di corporate wellbeing è pari a 1850€ per dipendente. Ma il 90% del budget che complessivamente l’azienda stanzia per tutte le iniziative è ancora allocato su benefit di tipo monetario, con cifre che mediamente vanno da 1500 euro a 1650 euro pro capite.
Spesso questo tipo di benefit sono funzionali soprattutto all’attraction, ma risultano meno efficaci se utilizzati da soli come elemento di engagement e retention dei lavoratori.
Solo il restante 10% viene allocato su interventi finalizzati a soddisfare i bisogni che rientrano nella parte centrale della piramide (benessere fisico, psicologico e relazionale, flessibilità e work-life balance, sviluppo ed employability), che assolvono ai bisogni di benessere, conciliazione vita lavorativa-vita privata e sviluppo professionale.
Questi sono gli aspetti centrali per i lavoratori di oggi, per i quali l’azienda stanzia però un budget di 200 euro pro capite. Da qui il mismatch tra offerta e domanda di corporate wellbeing, che genera una spesa inutile per l’azienda e una insoddisfazione crescente nei collaboratori.
Basti pensare che solo il 9% dei lavoratori sta bene su tutte e tre le dimensioni del benessere aziendale (soddisfazione, coinvolgimento affettivo nei confronti dell’organizzazione ed engagement).
Il malessere dal punto di vista psicologico presenta ricadute importanti anche per l’organizzazione: il 32% delle persone si è assentato almeno una volta dal lavoro nell’ultimo anno per motivi di stress e/o ansia. Ma la tutela del benessere mentale rimane ancora in secondo piano: solo il 40% delle organizzazioni si impegna a creare ambienti di lavoro “sicuri” dal punto di vista psicologico.
La percentuale di coloro che hanno un buon grado di flessibilità ed equilibrio vita privata e vita lavorativa si attesta al di sotto del 20% e chi presenta una situazione più svantaggiata sono, ancora una volta, le donne. Nello specifico, solo il 40% prevede un’estensione del congedo parentale retribuito della seconda figura genitoriale e circa il 30% servizi di supporto alla genitorialità – come l’asilo nido aziendale – o servizi di supporto ai carichi di cura verso famigliari fragili – come iniziative di assistenza a familiari anziani o con disabilità.
NON SERVE SPENDERE DI PIU’, MA MEGLIO
Nelle organizzazioni che si occupano del benessere dei loro dipendenti, la percentuale di persone pienamente ingaggiate al lavoro, che mediamente si assesta al 19%, sale al 54%. Ma non solo: la percentuale di “felici al lavoro”, sale dal 5% al 23%.
“La relazione fra azienda e lavoratore sta vivendo un momento critico. Le aziende fanno sempre più fatica a trovare, motivare e trattenere le persone, ma continuano a adottare approcci tradizionali per affrontare questa sfida. I lavoratori si sentono sempre meno ingaggiati e segnalano un aumento di situazioni di malessere – afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano -. Le organizzazioni devono adottare un approccio organico e strutturato al tema del benessere, in grado di rispondere ai reali bisogni delle persone. Per massimizzare i risultati delle iniziative di corporate wellbeing non serve investire di più, ma meglio, attraverso una strategia unica e integrata, evitando di disperdere energie e lanciare comunicazioni contraddittorie alle persone”.
“Quello che emerge è che le aziende continuano a investire gran parte del loro budget su iniziative tradizionalmente legate alla retribuzione (e spesso vincolate da contratti collettivi nazionali o accordi aziendali), mentre gli interventi che hanno un reale impatto su benessere ed engagement ottengono paradossalmente risorse marginali. E restano inefficaci se non inquadrate in una strategia organizzativa. Un esempio? È inutile che la maggior parte delle aziende (64%) offra servizi di benessere fisico e psicologico per “tamponare” il malessere in ufficio se poi solo un dipendente su quattro (25%) ritiene che la propria azienda si occupi concretamente del suo benessere. Bisogna agire alla radice del problema, o se vogliamo sviluppare un benessere che sia organizzativo e personale insieme. Le aziende che vogliono continuare a crescere ed essere attrattive devono quindi saper passare ad un approccio sistemico, in cui il corporate wellbeing non è più “cosa si fa”, ovvero un insieme di iniziative, ma è il risultato di una people strategy finalizzata a un’esperienza lavorativa in cui le persone si sentano abilitate e supportate nel realizzare il proprio purpose all’interno e a servizio dell’organizzazione” afferma Francesca Rizzi, AD JOINTLY
Dai dati raccolti da JOINTLY emerge che solo 1 azienda su 3 ha effettivamente integrato le iniziative di Corporate Wellbeing nella strategia aziendale e, di queste, solamente la metà stabilisce obiettivi e KPI per definirne il successo. Un altro 40% non ha addirittura nessuno strumento che consenta di monitorare l’impatto e quindi poter dimostrare se un’iniziativa è stata efficace o meno.
Ad oggi quindi le aziende investono nel benessere dei dipendenti, ma in maniera non strutturata e quindi poco efficace: i dati evidenziano la mancanza di un approccio organico e strutturato al tema del benessere, in grado di rispondere ai reali bisogni delle persone. Risulta quindi necessario passare da un sistema composto da servizi frammentati, con investimenti incentrati soprattutto sulla parte monetaria, a un approccio sistemico.
All’interno di questa evoluzione organizzativa, un fattore è la comunicazione
Spesso, gli interventi a supporto del benessere vengono comunicati in maniera poco efficace: infatti, secondo i dati dell’Osservatorio HR Innovation Practice, solo il 7% dei dipendenti ritiene che la comunicazione dei benefit e delle iniziative attuate dalla propria organizzazione a supporto del benessere sia chiara, efficace e tempestiva. Inoltre, secondo dati JOINTLY, solo il 40% delle aziende italiane ha una funzione che si dedica al wellbeing e, di queste, solo poco più di 1 su 3 (35%) si coordina in maniera strutturata con le altre funzioni citate e questo significa che solo il 15% delle aziende coinvolte nella rilevazione ha una vera e propria governance strutturata in grado di stabilire e promuovere una strategia di benessere.
JOINTLY è la prima B Corp in Italia specializzata nel welfare e corporate wellbeing, in grado di garantire un impatto positivo sul benessere delle persone, delle aziende e delle realtà locali in cui opera. Progettiamo insieme alle imprese risposte utili ed efficaci per rispondere alle nuove sfide del mercato del lavoro, aumentando il senso di appartenenza e la soddisfazione dei propri collaboratori. Offriamo soluzioni per la genitorialità, per i caregiver, per la salute mentale e per il benessere psico-fisico, tutte fruibili online o di persona, oltre che alle soluzioni di Flexible Benefits. La nostra offerta di servizi è la più ampia sul mercato e – con una rete di partner accuratamente selezionati – è integrata, personalizzabile e multicanale. Siamo l’unica società di servizi di welfare e corporate wellbeing che accompagna le imprese anche nella misurazione di impatto delle soluzioni proposte ai fini ESG.