Dow Jones Financial Information Services: radiometrie o dirottamenti verso scali meno controllati. La mancanza di provvedimenti attuativi riguardanti modalità e oggetti dei controlli radiometrici continua a provocare difficoltà in molti scali italiani, con gli operatori che stanno optando sempre di più per un dirottamento delle merci verso quei porti dove le ispezioni sono effettuate in maniera più blanda. È quanto riferiscono ad Acciaio Report diversi operatori di scalo.
Il 7 aprile scorso era entrato in vigore il decreto legislativo 23/2009 che estende l’obbligatorietà dei controlli radiometrici a tutti i “semilavorati metallici” in arrivo nei porti italiani. Alla misura però non ha fatto seguito l’introduzione di norme attuative che specificassero le modalità di una corretta applicazione della legge. “Questo, sebbene tutte le parti interessate e intervenute nelle varie riunioni organizzate sull’argomento ne avessero ravvisato l’assoluta necessità”, sottolinea uno spedizioniere.
Nel frattempo, aggiungono gli operatori, il vulnus attuativo ha provocato “un aumento esponenziale dei costi di sdoganamento, stimati in non meno di 10 milioni di euro, con un grave danno alla competitività del sistema paese e un dirottamento dei traffici verso altri paesi del Nord Europa” o scali italiani con controlli più limitati. Infatti, sottolinea Federspedi in una lettera di inviata ai ministeri dello Sviluppo economico, delle Finanze e per le Politiche, ogni ufficio doganale si gestisce in autonomia, stabilendo criteri di volta in volta diversa su quali tipologie controllare e su come effettuare le ispezioni. Va da sé che gli scali meno severi iniziano ad attirare il traffico.
“Una nave arrivata in questi giorni a Venezia – dice ad AcciaioReport un operatore con sede a Venezia – è stata dirottata su Monfalcone, dove la gamma dei prodotti definiti semilavorati metallici è ridotta rispetto a quella di porto Marghera. Un’altra nave da 20.000 coils e bramme è in predicato in attesa del cambiamento di rotta su Ravenna”. “Il problema – aggiunge – si può porre in termini di abuso in atto d’ufficio, in scali come Venezia, dove ai metalli e addirittura alle ferroleghe è stato applicato esattamente lo stesso protocollo destinato ai rottami. Nell’estremità opposta della casistica vi sono dogane che invece arrivano ad omettere le ispezioni su determinati prodotti”.
A Gioia Tauro, Salerno e Napoli ad esempio tra i semilavorati non sono inclusi tubi ferrolgati, banda stagnata e tutti i prodotti placcati e rivestiti perché considerati prodotti già finiti. Ma gli stessi prodotti sono considerati semilavorati metallici e quindi soggetti a controllo a Genova, La Spezia, Venezia e Ravenna.
L’unica dogana ad aver preso ufficialmente una posizione è quella di Trieste che in una nota riferisce: “Dovranno essere assoggettati a controllo radiometrico tutti i prodotti metallici, ferrosi e non, che a seguito di grossolana lavorazione del materiale greggio, si presentano sotto forme (lingotti, bramme, billette, tondini, placche) che le note esplicative della nomenclatura delle tariffe doganali definiscono come prodotto primario o semiprodotto”.
Altro elemento negativo emerso in questi giorni è l’aumento dei costi di commercializzazione delle merci. Secondo Federspedi, il provvedimento interessa un settore che muove oltre 15 milioni di tonnellate di merce (dati 2008) e che genera introiti per circa 13 milioni di euro. “La misura ha provocato gravi ricadute sul mercato di riferimento”.
Dietro all’entrata in vigore del decreto sui controlli, diversi operatori portuali e trader ravvedono ad oggi un’azione di lobbying da parte di Federacciai, che in questo modo è riuscita ad ottenere “una sorta di dazio sulle importazioni che avvantaggia la produzione italiana”.