Esonero contributivo assunzione donne vittime violenza. In Italia, i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale e, nella maggior parte dei casi, le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici.
Si legge sul sito del Ministero della Salute “La violenza ha effetti negativi a breve e a lungo termine, sulla salute fisica, mentale, sessuale e riproduttiva della vittima. Le conseguenze possono determinare per le donne isolamento, incapacità di lavorare, limitata capacità di prendersi cura di sé stesse e dei propri figli. I bambini che assistono alla violenza all’interno dei nuclei familiari possono soffrire di disturbi emotivi e del comportamento. Gli effetti della violenza di genere si ripercuotono sul benessere dell’intera comunità.”
Da giugno 2024, è ufficialmente entrato in vigore l’esonero contributivo per le assunzioni di donne disoccupate vittime di violenza, beneficiarie del reddito di libertà, un provvedimento di cui si sta poco parlando ma fortemente positivo.
Come specificato da INPS stesso, l’esonero contributivo spetta ai datori di lavoro privati che assumono, nel triennio 2024-2026, donne disoccupate vittime di violenza, già beneficiarie della misura denominata “reddito di libertà” (L’articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020).
Il reddito di libertà è un contributo economico stabilito nella misura massima di 400 euro mensili pro capite, concesso in un’unica soluzione per massimo 12 mesi, e finalizzato a sostenere prioritariamente le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale, nonché il percorso scolastico e formativo dei figli o delle figlie minori.
L’esonero contributivo per le assunzioni è il secondo step di questo percorso già cominciato con il reddito di libertà.
Tale misura è destinata alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia, che siano cittadine italiane o comunitarie oppure, in caso di cittadine di Stato extracomunitario, in possesso di regolare permesso di soggiorno. La lavoratrice deve soddisfare, alla data dell’assunzione, i seguenti due requisiti: essere disoccupata ed essere percettrice del reddito di libertà.
L’esonero contributivo in esame spetta per le assunzioni a tempo indeterminato, per la durata di 24 mesi, e per le assunzioni a tempo determinato per la durata di 12 mesi. Riguarda inoltre le trasformazioni a tempo indeterminato di un precedente rapporto a termine, sia già agevolato che non agevolato, per la durata di 18 mesi a partire dalla data dell’assunzione a tempo determinato. L’esonero spetta anche in caso di part-time e per i rapporti di lavoro subordinato instaurati in attuazione del vincolo associativo stretto con una cooperativa di lavoro.
L’agevolazione contributiva è valevole per le sole assunzioni/trasformazioni effettuate nel triennio 2024-2026, si sostanzia nell’esonero dal versamento del 100 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati, nel limite massimo di importo pari a 8.000 euro annui, riparametrato e applicato su base mensile, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
IL RUOLO DELLE AZIENDE
Non solo agevolazioni fiscali, anche le aziende stesse possono fare la differenza.
“La violenza domestica è una piaga sociale che colpisce milioni di persone in tutto il mondo, molte delle quali sono donne che cercano di conciliare il lavoro con una situazione familiare difficile. Le aziende, come parte integrante della società, hanno il dovere morale e la possibilità concreta di aiutare i propri dipendenti vittime di violenza, sviluppando politiche specifiche che affrontano direttamente il problema. Questo include la stesura di linee guida dettagliate su come identificare i segnali di abuso, come rispondere alle richieste di aiuto e quali risorse mettere a disposizione delle vittime. Tali politiche devono essere ben comunicate a tutti i dipendenti e integrate nei regolamenti aziendali” dichiara Elena Falconi, Senior HR Director Southern Europe di ADP Italia.
Secondo gli esperti di ADP, azienda leader nella gestione del capitale umano, per aiutare i dipendenti vittima di violenza, il primo step è la formazione del personale. È essenziale che le aziende formino i propri manager e responsabili delle risorse umane per riconoscere i segnali di violenza domestica e sapere come rispondere in maniera appropriata. La formazione dovrebbe includere sessioni su empatia, ascolto attivo e conoscenza delle risorse locali e nazionali a disposizione delle vittime.
Fondamentale pensare a un supporto psicologico
Le aziende possono stipulare convenzioni con psicologi o centri di supporto per fornire consulenze gratuite o a prezzo agevolato ai dipendenti vittime di violenza. Alcune aziende hanno già introdotto il servizio di “counseling” interno, dove specialisti qualificati sono disponibili per consulenze “riservate”.
Secondo i dati di People at Work 2024, ricerca annuale elaborata dall’ADP Research, il 52% dei lavoratori italiani non avrebbe nessun problema a parlare dei problemi mentali e psicologici sul lavoro, il valore è il più alto in Europa dove la media si ferma al 48%.
Contrariamente a quanto avviene negli altri Paesi europei, per questo genere di conversazione gli italiani sembrano avere più fiducia nei propri colleghi che non nei propri manager: infatti solo il 39% dichiara di sentirsi supportato dai propri manager in tema di benessere mentale (contro una media del 45% in Europa) mentre il 46% trova conforto dai colleghi (51% in Europa).
Le aziende possono anche collaborare con enti e associazioni specializzate nella lotta contro la violenza domestica: queste partnership possono offrire alle vittime un accesso più rapido a risorse come rifugi, assistenza legale e servizi di supporto. Inoltre, le organizzazioni possono partecipare a campagne di sensibilizzazione e formazione promosse da queste realtà.
Promuovere una cultura aziendale basata sul rispetto
La dignità e la solidarietà è essenziale per prevenire e combattere la violenza domestica. Le aziende possono organizzare eventi di sensibilizzazione, diffondere materiali informativi e incoraggiare una comunicazione aperta su questi temi. A oggi il 50% degli italiani si dichiara soddisfatto della propria cultura aziendale (dati ADP), e il 24,3% dichiara che rispetto a tre anni fa le politiche di D&I sono migliorate.
“Le aziende hanno un ruolo chiave nella protezione e nel supporto dei dipendenti vittime di violenza domestica. Implementare politiche efficaci e offrire un ambiente di lavoro sicuro e comprensivo non solo aiuta le vittime a ricostruire la propria vita, ma contribuisce anche a creare una società più giusta e solidale. Attraverso azioni concrete e un impegno continuo, le aziende possono fare la differenza e supportare concretamente chi ne ha più bisogno” conclude Falconi.
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