Consumer Price Index (CPI) frena (al suo minimo dal 2021), ma è ancora presto per scommettere sulla fine dell’inflazione. Secondo l’analisi di iBanFirst un CPI “più freddo” avrebbe significato che l’economia statunitense fosse sicuramente già in recessione, mentre un dato “più caldo” avrebbe significato che lo sarebbe stato molto presto.
Alla fine non è accaduta nessuna delle due opzioni e il CPI di aprile è stato ampiamente in linea con il consenso generale.
Il dato principale è stato leggermente inferiore rispetto alle aspettative, pari al 4,9% su base annua. È la prima volta che si scende sotto il 5% in due anni, ma è troppo presto per dichiarare vittoria sull’inflazione.
Il CPI – che mostra meglio le pressioni inflazionistiche sottostanti – si è attestato allo 0,41% su base mensile e al 5,5% su base annua.
Questo dato è ancora troppo caldo.
Tuttavia, è improbabile che questo scenario costringa la Federal Reserve statunitense a un rialzo dei tassi a giugno. Ci si aspetta che la pausa monetaria duri anche oltre i tempi previsti dal mercato. Ovviamente, i dati di oggi sembrerebbero non confermare in alcun modo la possibilità di tagli dei tassi quest’anno.
Su base annua, i principali fattori di inflazione sono:
– trasporti (+11%)
– cibo fuori casa (+8,6%)
– elettricità (+8,4%)
Nel breve termine bisognerà prestare attenzione anche ai prezzi delle auto usate. Nel 2022 sono stati uno dei principali motori dell’inflazione e potrebbe essere fonte di preoccupazione nei prossimi mesi.
Dal punto di vista dei tassi di cambio, questo rapporto non rappresenta un cambiamento di rotta. Con la Fed in pausa, mentre altre banche centrali – tra cui la Banca Centrale Europea – continuano a stringere, pensiamo che il dollaro USA si indebolirà ulteriormente quest’anno con l’erosione del premio per i tassi d’interesse e la crescita degli Stati Uniti.
L’attuale debolezza sarà inoltre esacerbata dalle posizioni speculative ribassiste in corso nei confronti del dollaro americano.
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